lunedì 7 maggio 2018

RECENSIONE: L'ULTIMA PATRIA

Titolo: L'ultima patria
Autore: Matteo Righetto
Editore: Mondadori
Prezzo di copertina: € 18,00
Anno di pubblicazione: 2018


Sinossi:
Sono passati due anni da quando la Jole De Boer e suo padre Augusto sono tornati dalla loro avventura oltre il confine austriaco, raccontata nel romanzo L'anima della frontiera (Mondadori 2017), e adesso la loro vita si svolge in modo tranquillo ancorché stentato nella loro fattoria di Nevada, minuscolo paesino situato tra l'altopiano di Asiago e la val Brenta. Con loro ci sono la mamma Agnese, devota custode del focolare domestico, la sorella Antonia dalla spiccata religiosità e il fratellino Sergio, allegro e vivace come sono tutti i bambini di otto anni, sempre pronto a dare il suo piccolo contributo in casa o nei campi di tabacco. Siamo nel 1898, e molti abitanti dei paesini montani come Nevada stanno abbandonando le proprie case per cercare un po' di fortuna ed una vita meno dura in America. Ma non i De Boer, che cercano ostinatamente di tirare avanti con l'orgoglio e la determinazione di chi è strenuamente attaccato alle proprie radici. Ma in un giorno di novembre simile a tanti altri, mentre la Jole si trova in pianura per curare il fratellino malato e Antonia è da poco entrata in convento, un destino amaro si abbatte sui loro piani di tranquillità e pace. Augusto ed Agnese vengono barbaramente uccisi da due balordi che li derubano delle loro scarse sostanze. Venuta a conoscenza della tragica fine dei genitori nel modo più scioccante, la Jole decide di intraprendere l'unica strada che ritiene a quel punto possibile, quella della vendetta. 
La natura e la montagna, questo lo sentì bene, erano e sarebbero sempre state dalla sua parte, il destino aveva voluto che lei sopravvivesse. E le bastò questo per decidere cosa fare. Pace per i suoi cari. Giustizia per lei.
 Riesuma quindi il suo fucile, fedele compagno del viaggio in terra d'Austria di due estati prima, barda di tutto punto il suo amato cavallo Sansone e parte all'inseguimento degli assassini, carica di odio e di fredda determinazione, in un viaggio straziante immerso in una natura scabra e maestosa che si candida a vera protagonista della storia, come già era successo negli altri romanzi di Righetto. Ma quello della Jole diventerà anche un lungo viaggio interiore, che la porterà a prendere decisioni drastiche, a mettere alla prova il suo coraggio e a scegliere alla fine, ancora una volta, la sola strada per lei percorribile.  

Pregi
Quando ho cominciato questo libro avevo appena finito di leggere un romanzo d'avventura, ricco di azione e di colpi di scena, per cui di primo acchito ho trovato la prosa di Righetto troppo scarna e priva di emozione, arida come la storia che sembrava raccontare. Ma poi pian piano sono entrato nel nuovo ritmo, e ho capito che quello era il modo più adatto per descrivere la montagna, quel paesaggio aspro e solenne che chiude l'orizzonte e non permette ai sogni di volare troppo lontano, così come il carattere delle persone che ci vivono dentro, troppo impegnate a rincorrere il passo spedito delle stagioni per lasciarsi andare a dispendiosi slanci emotivi. Credo che il termine che riassume il tutto sia economia. Economia di energie e di fantasie inutili, resa - me ne sono poi reso conto - con economia di parole, di lessico e sintassi. Nessuna negligenza, dunque, nessuna mancanza di coinvolgimento o pochezza di spunti narrativi. Anzi. La storia, per quanto semplice e lineare, comincia ad un certo punto a prenderti con sè, poi a legarti ad essa, infine a toccarti dentro. E lo fa proprio in virtù di questo stile essenziale e preciso, che non spreca parole nè concetti, ma disegna un percorso lineare e sconnesso come sono i sentieri tortuosi che la protagonista deve affrontare. La bravura dell'autore sta proprio in questa capacità di farti entrare in modo fluido ma nello stesso tempo inesorabile nel vivo delle cose, con una lingua che da "economica" si fa invece ricercata quando deve descrivere quella che, come detto, è forse la protagonista principale del romanzo, e cioè la natura, la montagna con i suoi animali e i suoi repentini cambiamenti atmosferici, e gli stati d'animo che essa provoca soprattutto nel personaggio di Jole. 
Oltre all'odore della carne sul fuoco, d'intorno si propagavano forti e resistenti i profumi del bosco e della notte - resine, funghi, pini -, e dei rumori, sempre più chiari, netti e inquietanti: i lontani ululati di quelle bestie che avevano provato ad aggredirla, i più vicini versi del tasso e della martora, e poi i richiami minacciosi del barbagianni, dell'assiuolo e della civetta nana. A un tratto avvertì chiaro il verso oscuro, misterioso e profetico del gufo reale, e quella sera, in quel luogo e in quella circostanza, le parve un suono davvero sinistro. Si fece sempre più vicino ed angosciante, finchè lo sentì provenire proprio dalla manciata di larici aggrappati alla falesia dietro di lei.
Questa precisione nel linguaggio che si manifesta quando si tratta di raccontare la natura raggiunge il culmine nella descrizione dei vari tipi di neve, che l'autore indica coi loro nomi cimbri: bruskalan, la neve leggera, secca e farinosa dal profumo pulito; bachtalasneea, ovvero la neve della quaglia, che si scioglierà presto; e haapar, la neve in discioglimento sparsa a chiazze sui prati.
Ma il romanzo non è solo un'immersione, per quanto suggestiva, nel mondo dei montanari veneti di fine ottocento, è anche una bella storia di vendetta e coraggio, incentrato sulla figura di questa ragazza educata da una famiglia onesta e rispettosa delle regole, ma formata dall'ambiente duro nel quale si è trovata a vivere.
"Mai fatto un giorno di scuola in vita mia. La mia scuola è la montagna"
E quando la vecchietta di Almeda le dice "Questa sarà la nostra ultima patria", lei pensa: "Noi povera gente siamo tutti cittadini dell'ultima patria". Un'ultima patria che però non ha ormai più niente in serbo per la Jole, la quale, sgravatasi del peso della vendetta, è ormai pronta a seguire la strada già intrapresa da tanti suoi compaesani, e cioè la strada che porta in America.
Subito dopo, però, fu pervasa da un'altra sensazione: uno stupefacente senso di libertà. La gioia infinita di non avere più obblighi e catene, nessun legame. Niente di niente. Il suo futuro le si rivelò meraviglioso come quel cielo stellato. Fu in quel momento che ebbe la certezza: dopo aver sistemato Strim sarebbe partita.
 Giudizio assolutamente positivo, quindi, per quest'opera di Matteo Righetto, autore che può essere tranquillamente accostato agli altri due grandi cantori della montagna a lui conterranei: Mauro Corona e Mario Rigoni Stern.

Difetti
Nessuno in particolare

Consigliato a 
Gli amanti della montagna
Gli amanti di Mauro Corona e di Mario Rigoni Stern

Voto
5/5 


 

 

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