venerdì 20 aprile 2018

RECENSIONE: LA SETTIMA FUNZIONE DEL LINGUAGGIO


Titolo: La settima funzione del linguaggio
Autore: Laurent Binet
Editore: La nave di Teseo
Prezzo di copertina: € 20,00
Anno di pubblicazione: 2018


Sinossi
Parigi, 1980. Il famoso critico letterario Roland Barthes, appena uscito da un incontro col candidato alla presidenza François Mitterand, viene investito da un furgone della lavanderia. Soccorso immediatamente e trasportato in ospedale, morirà un mese dopo, circondato dall'affetto di amici, colleghi ed ammiratori. Data l'importanza del personaggio e alcune incongruenze evidenziate durante i primi rilievi, il commissario Jacques Bayard riceve l'incarico di fare piena luce sul fatto. Per farlo dovrà assicurarsi l'appoggio di un giovane semiologo, Simon Herzog, che lo aiuterà a districarsi in una disciplina a lui totalmente estranea, quella branca della filosofia del linguaggio che va sotto il nome di semiotica e che sta vivendo in quegli anni a Parigi la sua età dell'oro. Sì, perchè sembra proprio che Barthes nell'ultimo periodo si stesse occupando di una teoria linguistica rivoluzionaria, la "settima funzione del linguaggio", soltanto ipotizzata dal semiologo russo Roman Jakobson che aveva stilato la famosa lista di sei e che darebbe a chi riuscisse a padroneggiarla il potere di convincere chiunque col solo uso accorto della lingua. Bayard e Herzog iniziano così una lunga e complessa indagine che li porterà a fare la conoscenza di intellettuali che hanno fatto la storia della linguistica e non solo e che per un sorta di forza di attrazione si sono ritrovati tutti a Parigi, la città che in quell'anno fatidico si pone come il centro e il luogo di nascita delle più moderne teorie linguistiche e filosofiche tout court. Vediamo quindi sfilare in ruoli più o meno comprimari il grande filosofo Michel Foucault, Jean-Paul Sartre (che morirà a Parigi un mese dopo Barthes), Gilles Deleuze, lo psicanalista Jacques Lacan, Tzvetan Todorov, il filosofo Louis Althusser, Jacques Derrida, gli scrittori Bernard-Henri Lévy e Philippe Sollers, i due pretendenti alla presidenza francese del 1981 François Mitterand e Valery Giscard d'Estaing (presidente in carica) e ancora, spostandoci fuori Parigi, Roman Jakobson e Noam Chomsky, per non parlare di Umberto Eco, che il commissario e il suo assistente vanno a trovare direttamente a Bologna, proprio nei giorni immediatamente precedenti la strage del 2 agosto... I due dovranno quindi confrontarsi con le gelosie, le ambizioni, le perversioni e le stravaganze di questi illustri personaggi, venendo così fatalmente coinvolti in una serie di avventure che li porterà negli Stati Uniti, a Venezia, a Napoli e, appunto, a Bologna, a caccia di quel documento appartenuto a Barthes che fa gola a tanti.

Pregi
Come tutti i cosiddetti "gialli letterari", i romanzi cioè che hanno l'ambizione di non esaurire la loro ragion d'essere solo nella suspence e nell'azione create dal mistero da risolvere, ma che sviluppano la trama in un contesto intellettualmente impegnato e impegnativo, questo lavoro del francese Laurent Binet, ricercatore e professore di Letteratura a Parigi, si presta a diversi livelli di lettura. C'è il giallo puro e semplice, ovviamente, che fa progredire l'azione e spinge il lettore a girare le pagine "per vedere come va a finire". C'è il livello linguistico, che disegna, per chi ne fosse interessato, un affresco grandioso della lotta ideologica che si svolgeva in quegli anni tra strutturalisti, decostruzionisti e funzionalisti e che mette in scena personaggi che hanno fatto la storia della linguistica (e della psicanalisi che ad essa si accostava con diversa prospettiva, come Lacan). C'è poi un livello filosofico, che ingloba la filosofia della lingua in un discorso più ampio e che fa capolino ogni tanto tra gli inseguimenti e le disfide retoriche nella figura di Sartre, il grande maestro dell'esistenzialismo. C'è poi un livello per così dire storico, perchè i fatti che fanno da sfondo al romanzo sono fatti reali, come la strage alla stazione di Bologna, la morte di Barthes nel 1980 dopo un mese di agonia, la campagna elettorale di Mitterand e Giscard, Althusser che strangola la moglie nel novembre del 1980, le brigate rosse in Italia... C'è infine il livello metaletterario, dove l'autore si diverte a giocare con le citazioni, svelando a mio parere una particolare predilezione per quello che dei gialli letterari resta ad oggi il modello indiscusso. Sto parlando naturalmente de Il nome della rosa, evocato non solo dalla figura del suo autore Umberto Eco, ma anche da certi passi rivelatori, come la scena in cui Simon descrive per filo e per segno la vita del commissario Bayard senza conoscerlo, basandosi solo sul suo aspetto esteriore, che rimanda immediatamente a quella che si trova all'inizio del romanzo di Eco, quando Guglielmo da Baskerville descrive nei minimi particolari il cavallo dell'abate, arrivando a indovinarne perfino il nome (Brunello), basandosi solo sulle tracce lasciate nell'ambiente in cui si è mosso. Ad un certo punto il personaggio Eco sembra addirittura trovare nelle vicende che sta vivendo (nel romanzo) l'ispirazione per scrivere il suo, di romanzo (nella vita reale)
Eco ascolta con interesse la storia di un manoscritto perduto per il quale si ammazzerebbero delle persone. Vede passare un uomo con un bouquet di rose in mano. La sua mente vagabonda un momento, attraversata dalla visione di un monaco avvelenato.
E poco importa se qui la cronologia è un po' approssimativa (Eco non può avere avuto l'ispirazione nell'agosto del 1980 per un libro che in Italia sarà pubblicato il mese successivo). 
Tra l'altro, questa sovrapposizione tra il personaggio del romanzo e l'autore reale, storico, de Il nome della rosa ci rimanda ad un'altra sovrapposizione (o almeno ritenuta tale dal protagonista), quella cioè di Simon col personaggio di una ipotetica storia inventata di cui lui sarebbe il protagonista e il cui autore una sorta di Dio sconosciuto che ne decide il destino. Anche questo fondersi continuo della vita reale con quella immaginata costituisce un ulteriore livello di lettura e contribuisce ad accrescere il fascino sfaccettato di questo romanzo.
Diversi livelli, quindi, e di conseguenza diversi destinatari. Ognuno può trovare in quest'opera la sua dimensione privilegiata, ognuno la può approcciare alla profondità che gli è più congeniale, con la felice consapevolezza che ogni lettura successiva potrà poi svelargli, poco per volta, nuovi livelli e nuove avventure.
Il linguaggio è scorrevole, la trama appassionante, i personaggi interessanti e sorprendenti, e se si pensa che le disquisizioni filosofico-linguistiche siano a volte tanto tecniche da diventare incomprensibili, basti affidarsi al giovane Simon, che riesce ad istruire il superficiale, concreto commissario Bayard (in questo Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk si scambiano i ruoli) quel tanto che basta per arrivare alla risoluzione del caso, oppure lasciarsele scorrere sulla punta della lingua, assaporandone appena la superficie, come si può fare con i tanti passi in latino che ne Il nome della rosa avevano lo scopo semplice e primario di creare un'atmosfera.

Difetti
Come ho detto, anche l'unica osservazione che posso fare, e cioè che in alcuni punti si sfiora il manuale per addetti ai lavori, se presa nel modo giusto può diventare un pregio. In fondo se l'autore avesse voluto parlarci solo di semiotica e filosofia della lingua avrebbe scritto un manuale per linguisti o aspiranti tali, invece ha scritto un romanzo in cui anche chi linguista non è (e neanche lo vuole diventare) ha la possibilità di avvicinarsi piano piano ad una disciplina che sa diventare affascinante anche agli occhi del lettore più prevenuto.

Consigliato a
Chi non si accontenta
Chi vuole imparare qualcosa
Chi ha amato Il nome della rosa
Chi ama leggere e rileggere e rileggere ancora un libro scoprendo ogni volta qualcosa di nuovo 

Voto
5/5  

 
    

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